TEATRO PUBBLICO
già Stanzone delle Commedie, dell'Accademia dei Lunatici o Stravaganti
1613, ubicato nella Piazzetta di Banchi o delle Logge di marmo dei Mercanti, davanti al Palazzo Pretorio
I primi documenti che attestano l'esistenza di una Stanza delle Commedie (una sala con due gradinate lignee opera dell'intagliatore Piero Giambelli) risalgono al 1613, ma solo in un atto ufficiale del 1679 essa è chiamata "teatro pubblico". Originariamente destinata alla rappresentazione di drammi in prosa, tra il 1732 e il 1733 subisce radicali interventi trasformandosi in un teatro a pianta rettangolare con tre ordini di palchi (arch. Alesandro Saller) ed estende le proprie attività ai drammi in musica. Nel 1760 viene ulteriormente ampliato e vengono aggiunti 6 palchi. L'ultimo momento di gloria lo ha il 16 marzo del 1766, con un concerto in onore del granduca Pietro Leopoldo e della sua corte in visita a Pisa. Inadeguato alle esigenze granducali viene abbandonato e scompare definitivamente nel 1772. Al suo posto i Priori decidono che vengano fabbricati due piani di case di otto stanze ciascuna, destinate ad abitazione del Cancelliere comunicativo e delle cortine.
ARENA GARIBALDI
già Arena Federighi, Teatro Diurno
1807, ubicata nel sobborgo di Porta a Lucca
Nel sobborgo di Porta a Lucca, a poca distanza dalla chiesa di Santo Stefano fuori le mura, nel 1807 viene costruita un'arena di forma circolare, circondata da assiti di legno, con un palcoscenico centrale, destinata a competizioni ippiche e intrattenimenti vari, in particolare rappresentazioni di filodrammatiche locali e spettacoli di marionette. Nel 1841 viene trasformata in "teatro diurno" (arch. Alessandro Gherardesca): si erigono intorno alte mura al cui interno vengono edificati in legno il palcoscenico, otto palchi, un'ampia galleria e il loggione. Solitamente attiva in primavera e in estate, dal 1872 amplia le propria attività all'opera lirica. Al termine della stagione estiva del 1896 viene chiuso dal proprietario. Sarà riaperto saltuariamente per giochi sportivi fino alla sua definitiva trasformazione in stadio (1931), funzione che ricopre ancora oggi prima come Arena Garibaldi poi come Arena "Romeo Anconetani".
POLITEAMA PISANO
1865, ubicato fuori Porta a Piagge
Nei pressi di Porta a Piagge nel 1865 viene inaugurata un'arena estiva con gradinate lignee (intagliatore Florindo Galli). Nel 1869 l'arena viene trasformata in teatro notturno: coperta da un'armatura di ferro viene arricchita da decorazioni pittoriche di stile pompeiano.
Generalmente vi si tengono spettacoli di prosa a carattere popolare, ma non mancano rappresentazioni liriche di successo. Dopo i restauri del 1913 si presenta totalmente rinnovato: ha un'ampia platea, tre ordini di palchi, un foyer spazioso. Vi si tengono ben tre stagioni: la primaverile, l'estiva e l'autunnale. Vi si rappresentano opere, spettacoli di prosa, operette. Tra il 1918 e il 1925 viene trasformato in fabbrica; riapre come teatro nel 1927. Attivo fino al 1941, interrompe le attività nel giugno 1942 a causa dell'acuirsi della guerra e, danneggiato dai bombardamenti, non riapre mai più. Demolito, al suo posto sorge oggi il Palazzo dei Congressi.
TEATRO REDINI
1901, ubicato in via Pietro Gori
Nel quartiere di San Martino il 7 novembre 1901 viene inaugurato il Teatro Redini: una sala a pianta rettangolare con galleria e quattro palchi su un solo lato. Concepita dal suo fondatore più per scopi promozionali che per fini teatrali, nel corso degli anni viene utilizzato, oltre che per attività di prosa, anche come cinematografo, sala da ballo, pista di pattinaggio e casermaggio per militari. Passato in proprietà al pittore e incisore Giuseppe Viviani, cessa definitivamente di funzionare durant la seconda guerra mondiale. Verrà utilizzato come bottega artigiana e come magazzino per poi cadere in quello stato di crescente degrado nel quale si presenta a tutt'oggi.
TEATRO ERNESTO ROSSI
già dei Nobili fratelli Prini, dell'Accademia dei Costanti, Regio Teatro dell'Imperiale e Reale Accademia dei Ravvivati o Regio teatro Nuovo
1771, ubicato tra la piazza di San Nicola e la via del Collegio Ricci
Il Teatro dei Nobili fratelli Primi, in stile neoclassico, viene realizzato in pieno centro storico nel 1771, dopo la visita a Pisa del granduca Pietro Leopoldo. Nel 1798 la proprietà passa all'Accademia dei Costanti; nell'età della restaurazione il teatro viene gestito da un'apposita accademia detta dei Ravvivati.
Assume il nome dell'attore livornese Ernesto Rossi nel 1878. La sua pianta è a ferro di cavallo, allungata con 56 palchi suddivisi in 4 ordini (arch. Zanobi del Rosso); tra il 1824 e il 1828 viene eretto un colonnato esterno e viene ampliata la zona servizi (arch. Alessandro Gherardesca); nel 1912 il IV ordine di palchi viene soppresso per lasciar spazio ad una galleria (ing. Pietro Studiati).Attivo, e con successo, per molti anni, cade in progressiva decadenza di pari passo con il rapido affermarsi del Teatro Verdi, né la sua trasformazione in cinematografo riesce ad arrestarne il declino: messo in liquidazione, se lo aggiudica nel 1940 la Cassa di Risparmio che a sua volta nel 1942 lo aliena alla Federazione Fascista pisana, la quale lo userà come luogo di riunioni e manifestazioni. Successivamente devoluto allo Stato italiano, che a tutt'oggi lo possiede, cessa ogni attività nel 1966. In questi ultimi anni si è manifestato un crescente interesse per il suo recupero e numerose sono state le iniziative volte ad attirare l'attenzione in tal senso (libri, incontri, spettacoli e appuntamenti ad hoc).
La vita
Titta Ruffo nasce a Pisa il 9 giugno 1877, nella popolare via Carraia (oggi via Volturno), da una famiglia di artigiani del ferro. A diciotto anni scopre di possedere non comuni attitudini canore e si trasferisce a Roma dove il fratello Ettore studia musica e il flauto. È ammesso al Conservatorio di Santa Cecilia, nella classe di canto di Venceslao Persichini, tra i più insigni maestri dell'Italia umbertina, ma crescenti incomprensioni e contrasti con docenti fanno sì che egli, dopo sette mesi, abbandoni il Conservatorio.
Nell'autunno del 1897 va a Milano dove il concittadino baritono Lelio Casini lo accoglie affettuosamente e gli impartisce proficue lezioni. Dopo il debutto, a soli ventun'anni, nel ruolo dell'Araldo in Lohengrin al Teatro Costanzi di Roma, assurge presto a protagonista nei massimi teatri lirici del mondo: in Italia e in Europa, in Egitto, in Russia e nelle Americhe, da New York a Buenos Aires. Poco più che trentenne, nel primo decennio del secolo egli gode già di solida fama internazionale.È il baritono per antonomasia: interprete dalla personalità marcata e dal linguaggio incisivo, ha una voce inconfondibile per smalto e colore, scura e bronzea in tutta la gamma, e in più dall'estensione capace di abbracciare ben diciassette note compreso il do tenorile. A Pisa debutta nell'agosto del 1898 al Teatro Politeama nei panni del Conte di Luna nel Trovatore di Verdi e in quelli di Lord Ashton nella Lucia di Lammermoor di Donizetti. Ritorna a Pisa nel 1901, al Teatro Nuovo (poi Verdi) come Jago in Otello e Don Carlo in Ernani, e infine nel 1925 per due recite straordinarie di beneficenza con l'Amleto di Thomas riportando un grandissimo successo. Con quest'opera saluta i suoi concittadini e tale evento viene immortalato su una lapide posta nell'atrio del Teatro.
Colpito dall'assassinio del cognato Giacomo Matteotti, più volte boicottato dal regime fascista, segnalato all'estero come sovversivo, Titta Ruffo decide di lasciare l'Italia per non cantarvi mai più. Si esibisce ancora all'estero, fino alla sua ultima opera, Tosca, a Buenos Aires nel 1931, e al concerto d'addio del 1935 a Nizza. Nell'ottobre del 1937, a Roma, dov'è tornato per una visita ai familiari, viene arrestato e privato del passaporto. Scarcerato dopo tre giorni sulla scia dell'indignazione scatenata dalla stampa straniera, è però costretto a non lasciare il paese. Si stabilisce prima a Bordighera, poi a Firenze, dove dimora fino alla fine.
Ha lasciato un libro di memorie autobiografiche, La mia parabola, pubblicato nel 1937. Il figlio, nel centenario della nascita, per rendere omaggio al padre, ne curò la riedizione (Staderini Editore).
A Pisa le celebrazioni tributate alla sua memoria sono state innumerevoli: ultime in ordine di tempo la nuova esposizione, al Teatro Verdi, dopo un accurato lavoro di ricatalogazione e restauro avviato negli anni '90, della preziosa collezione dei costumi donata dal figlio; le celebrazioni nel 2003 per il cinquantenario della morte; e il 27 gennaio 2006 l'intitolazione della Sala dei Concerti del Teatro Verdi al suo nome.
Il fondo
I materiali costituenti il Fondo Titta Ruffo sono stati donati dagli eredi del famoso baritono al Comune di Pisa e poi studiati e catalogati a cura del Teatro di Pisa.
Il fondo è principalmente costituito da 43 costumi appartenuti al cantante pisano completamente restaurati dal teatro in occasione della catalogazione e riferiti a molteplici titoli operistici. A questi si aggiungono accessori vari per costumi (24 pezzi), armi bianche di scena (9 p.), gioielli (26 p.), parrucche (18 p.), caricature (8 p.), fotografie di Titta Ruffo e altri cantanti (35 p.), spartiti (59 p.), libri (4 p.) e altri materiali.
Grazie all'intervento dell'allora Ente Cassa di Risparmio di Pisa (oggi Fondazione) il 9 giugno 1999 è stato inaugurato il nuovo spazio espositivo della collezione, situato nell'ampio corridoio della 2^ galleria. Nello stesso spazio, oltre che nel ballatoio, è in mostra permanente una selezione di accessori, gioielli di scena, spartiti, libri. Attualmente sono in esposizione 16 costumi. Anche per tutelarne la conservazione, è prevista un'alternanza pluriennale dei costumi esposti.
Laureato in matematica, a Padova, nel 1842, entrò quindi all'Accademia di Belle Arti di Venezia.
Vinse il premio Roma e si recò nella capitale a studiare. Qui, e poi a Venezia e a Mestre, partecipò ai moti del '48
Dopo l'Unità fu coinvolto in progetti di grande rilievo. Fece parte di molte commissioni, per il cimitero monumentale di Milano, per la facciata di Santa Maria del Fiore a Firenze (per la quale presentò successivamente un progetto), per il palazzo di giustizia e per il monumento a Vittorio Emanuele II a Roma. A Udine restaurò la Loggia del Lionelli, semidistrutta da un incendio, e costruì la Villa Pradamano di Giacomelli, un esempio del suo gusto architettonico neoclassico.
Ma lo Scala fu soprattutto uno specialista di teatri. Nel suo necrologio (1892) ne furono citati 24, non tutti documentabili. Tra i sui maggiori interventi oltre il teatro di Pisa: T. Sociale di Udine (ristrutturazione), T. Bandeu di Gorizia (ristr.), T. Armonia di Trieste, T. dell'Accademia Musicale di Conegliano, T. delle Logge del Grano a Firenze, T. Sociale di Treviso (ricostruzione dopo l'incendio), T. Manzoni di Milano (con G. Canedi), T. Cagnoni di Vigevano, Massimo di Catania (con C. Sada), Opéra di Bastia.
Sopra, firma in calce dello Scala
I primi attriti tra lo Scala e il Simonelli - e quindi la società - nacquero già nel luglio 1865. Un anno dopo lo Scala veniva esonerato dall'incarico.
Non conosciamo i reali motivi di quanto accadde. Dalla lettura del carteggio emerge una certa tendenza dello Scala a risolvere i problemi a distanza, attraverso lettere, appunti, schizzi, disegni. Atteggiamento che irritava la società e il Simonelli.
L'ipotesi più plausibile è che l'architetto fosse impegnato in altri progetti. In una lettera del 30 aprile 1866 (due mesi prima della rottura) egli stesso dichiarava al Simonelli di aver appena completato i disegni per il Teatro delle Logge del Grano.
A lato, disegni in calce ad una lettera dello Scala riguardanti il sistema delle scale
Lo Scala respinse duramente le critiche rivolte al suo primo progetto, ribattendo punto per punto alla commissione, accusandola addirittura di non essere stata in grado di leggere adeguatamente i disegni.(A fianco il disegno dello Scala con sezione del palcoscenico)
I motivi di contrasto principali
La sala della platea era stata progettata in modo che ciascun ordine di palchi fosse in ritiro di circa 10 cm. rispetto a quello sottostante, assumendo così un andamento "a gradoni" riecheggiante l'anfiteatro classico.
Erano stati inoltre eliminati i corridoi del secondo e quarto ordine, sostituiti da ballatoi poggianti (tramite colonne) sul primo e terzo ordine.
Le obiezioni della commissione e le risposte dello Scala
La commissione ritenne che i palchi degli ultimi ordini divenissero così troppo piccoli e che i ballatoi, troppo stretti, fossero inadeguati in caso di pericolo. Lo Scala ribattè con i calcoli: i palchi del quinto ordine risultavano di soli 20 cm. più piccoli dei palchi della Pergola mentre i ballatoi (ognuno dei quali serviva solo sei palchi) erano di 15 cm. più stretti dei corridoi del teatro fiorentino.
Il secondo progetto (elaborato secondo le indicazioni dei revisori) era accompagnato da una lettera in cui l'architetto accusava la commissione di volere "un teatro del tutto simile a quelli di usuale costruzione eliminando qualunque concetto di sensibile miglioramento".